Lunedì, 9 Dicembre 2024

Se rapportato al significato del linguaggio naturale e nel senso comune, literacy è la competenza, termine che in italiano impropriamente traduce l’idea di una competenza di base la quale è condizione necessaria per potere non solo accedere ad altre più avanzate competenze, ma anche ad una operatività che necessita di una qualche capacità di “leggere” il linguaggio con cui quella operatività e le istruzioni, ovvero le mansioni che sono ad essa correlate, sono espresse.

Il senso comune

La literacy, se la vogliamo guardare in relazione al senso comune e a ciò che viene immaginata come competenza di base per il cittadino e la cittadina, può arrivare ad indicare l’abilità di leggere e scrivere.

È proprio da questo primo, essenziale, spesso trascurato, significato che occorre muovere qualche riflessione oggi per mettere al giusto posto la “literacy” nel contesto della società digitale ed in particolare nel contesto delle funzioni che il Notariato svolge con, per e in tutela della società digitale. Avendo questo punto di partenza, non sfugge il fatto che tale termine sia connesso con l’esistenza stessa della grammatica generativa del linguaggio scritto e della aritmetica, laddove per grammatica generativa – qui usata lato sensu e quindi in modo tecnicamente impreciso – si intende sia la sintassi, sia la semantica, sia la pragmatica. Insomma, sapere leggere e scrivere e fare di conto è quanto si immagina debba essere assicurato ad ogni persona per renderla capace di muoversi in un mondo i cui significati sono veicolati attraverso, appunto, il linguaggio naturale, scritto e parlato.

Nella società digitale tale abilità ha a che vedere con una forma di literacy che si associa alla capacità di orientarsi all’interno di linguaggi che si avvalgono di un alfabeto di tipo binario e al contempo di una semantica – ma soprattutto come si dirà fra poco di una pragmatica – che è correlata a nuovi modi di fare le cose, appunto di fare le cose con le parole che sono diventate “0” e “1”.

Se ci si fermasse a questo all’interno della società digitale laddove si chiede la literacy o si promuove la literacy ci si fermerebbe alla proposta – o alla richiesta – di sapere e sapere usare la grammatica del digitale. Il che significa sapere usare internet, sapere utilizzare i software, sapere interagire con la realtà dematerializzata.

La literacy digitale, dunque, è quella che viene definita per potere utilizzare l’indice DESI, il Digital Economy and Society Index. Scorporato, esso si articola nell’indicatore di accesso ai servizi pubblici digitali, nell’indicatore di competenze digitali in possesso delle aziende, nell’indicatore di utilizzo di internet per compiere azioni di carattere economico e commerciale, come l’acquisto su una piattaforma, e nell’indicatore di connettività.

Il Regolamento europeo sulla IA

Il Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale tuttavia ci introduce ad un mondo nuovo che mette l’accento sull’uso delle strumentazioni e delle forme di IA. Il Regolamento introduce il concetto all’articolo 20 e ci dice che questa capacità deve essere costruita da e per tutti coloro che sono in qualche modo coinvolti dal prendere decisioni su cui impatta l’intelligenza artificiale, o perché viene utilizzata per prendere quelle decisioni, oppure perché l’ambiente nel quale la decisione viene presa è in qualche modo influenzato da forme di intelligenza artificiale. Insomma, si tratta di una literacy che si avvicina alla istruzione che dovrebbe fornire a tutte le persone indistintamente almeno – l’accento è sull’”almeno” – quelle competenze necessarie per potere agire, fare, decidere, insomma esserci nel mondo digitale. Ma non si tratta di un auspicio o di un principio astratto. La literacy che si chiede e si promuove ha a che vedere direttamente con la effettività di potere lavorare bene nella società digitale, di potere crescere professionalmente, insomma di potere evolvere nelle forme di uso e di controllo così come l’intelligenza artificiale evolve.

Insomma, sulla literacy cade il riconoscimento di un meccanismo che crea tre cose.

  • La effettività del controllo. Perché l’idea del controllo non è legata al controllare tutto, ma a sapere dove fermare la “macchina” (qui usata in senso improprio come concetto) e subentrare con una intelligenza umana esperta.
  • La riserva di umanità. Poiché di fatto esisterà sempre uno spazio dove solo ed esclusivamente interviene l’intelligenza umana, il sapere fare umano, la emotività umana, l’empatia, allora la competenza del linguaggio digitale è fondamentale per avvalersi appieno di quello spazio. È in quello spazio, per esempio, che avrà importanza vitale la deontologia, perché non sarà mai delegabile né delegato alla macchina tutto lo spazio funzionale e decisionale che si trova dinnanzi la persona nella sua vita quotidiana.
  • La condivisione di una grammatica comune fra sviluppatori, distributori e utilizzatori, anche se ovviamente saranno diversi i gradi di approfondimento e le ampiezze diremmo – mutatis mutandis – dei lemmi che i diversi profili professionali saranno in grado o vorranno utilizzare. Da questo punto di vista la possibilità di avere sviluppatori che siano di immediata appartenenza all’ecosistema degli utilizzatori appare una garanzia di grammatica condivisa, oggi e nel futuro.

In conclusione, quando parliamo di literacy nel Regolamento parliamo di qualcosa che è legato all’uso, al contesto, alla evoluzione degli strumenti digitali e al riconoscimento chiaro della centralità irriducibile dell’intelligenza umana. La literacy presuppone che tutti sappiamo comprendere un testo apparso sui media, ne sappiamo apprezzare l’eventuale riferimento a dati, perché questo ci permette di essere cittadini critici. Questo è l’uso generale. Specializzazione e settorialità saranno cruciali per creare percorsi pensati in modo specifico con e per il Notariato per creare quella grammatica generativa condivisa che ci permetterà di dare luogo nel corso dei prossimi anni al Notariato del XXI secolo.