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Il concetto di nome di dominio e la sua evoluzione sono strettamente correlati con lo sviluppo di Internet.
Inizialmente i “nomi di dominio” non esistevano e i dispositivi (pc, server, etc) e quindi i servizi informatici disponibili in rete Internet erano individuati solo da una stringa di numeri fatta di dodici cifre decimali e suddivisa, tramite punti, in quattro gruppi da 3 cifre ciascuno. Nella terminologia Internet ciò costituiva, e costituisce tuttora, un indirizzo del protocollo IP ovvero un IP Address (n.d.r. TCP/IP protocol v.4).
Tale modalità di individuazione dei servizi all’interno di Internet in senso lato, secondo l’accezione appena sopra, tramite indirizzo numerico, produceva, però, un inconveniente ovvero quello di identificare i servizi in maniera impersonale e difficile da memorizzare.

La storia della registrazione

Fu così che, a partire dai primi anni ’80, si pensò di identificare i servizi informatici (tra i quali anche quelli del “www”) associando all’indirizzo numerico sopra descritto anche un indirizzo alfanumerico di senso compiuto tramite l’utilizzo dei caratteri componenti l’alfabeto inglese (uno dei motivi del perché, ancora oggi, sono vietati i caratteri accentati all’interno dei nomi oltre ad una serie di altri caratteri speciali). In questo modo si sono potuti creare nomi di dominio così come li conosciamo noi oggi, ovvero di facile memorizzazione da parte degli utenti e già parzialmente descrittivi del servizio che vanno ad identificare. Vedasi quale esempio: www.agenziaentrate.gov.it.

Il protocollo tecnologico con cui è stato possibile caratterizzare un servizio Internet mediante un indirizzo “alfabetico-nominativo” ha preso il nome di “domain name system”, o brevemente DNS.
Il nome di dominio è formato da riferimenti sempre più dettagliati al servizio che identifica procedendo da destra verso sinistra. In particolare, all’estrema destra del nome di dominio troveremo il riferimento più generico, il cosiddetto “Top Level Domain” (o anche root), che è costituito dai ben noti suffissi “.com”, “.it”, “org”, eccetera.

Il suffisso “.com” fu il primo ad essere adottato. La sua introduzione risale al 1985 e inizialmente questo dominio nacque per designare le sole realtà commerciali; questa connotazione è andata persa col tempo. A partire dagli anni ’90, infatti, chiunque può registrarsi con il suffisso “.com”, che si è, quindi, aperto al pubblico in generale, divenendo uno dei suffissi più utilizzati.
A partire dalla registrazione del dominio symbolics.com, avvenuta il 15 marzo 1985, si è assistito alla diffusione, prima negli USA ed in seguito in tutto il mondo, dei nomi di dominio come li conosciamo oggi.
Inizialmente i domini “.com” erano amministrati dal Dipartimento di della Difesa degli Stati Uniti d’America, mentre oggi sono gestiti dalla Verisign, una società privata costituita nel 1995.
Il principio che regola l’attribuzione della titolarità del dominio, ad oggi, rimane essenzialmente quello per cui chi prima avanza una richiesta di uso del nome (ammesso che non sia già impegnato) è il primo ad esserne il titolare (in termini inglesi first come, first served).

Natura giuridica del nome di dominio

È discussa la natura giuridica del nome di dominio e attorno a tale dibattito non è possibile rinvenire uniformità di giudizio tra dottrina, giurisprudenza e legislazione.
Il problema principale è rinvenibile nel fatto che non esistano istituti ad hoc destinati a normare un bene giuridico di nascita relativamente recente quale il nome di dominio. Si è infatti dovuto procedere al suo inquadramento tramite la non sempre soddisfacente applicazione analogica di istituti già tipizzati dal nostro legislatore, ovvero la disciplina dei segni distintivi dell’imprenditore.

La giurisprudenza negò inizialmente che un indirizzo telematico potesse assolvere anche a una qualsivoglia funzione di segno distintivo di un’attività imprenditoriale. Successivamente questa posizione è stata progressivamente abbandonata e si è arrivati alla concezione che il nome di dominio non possa essere considerato solo un mero recapito elettronico, ma rivesta una funzione identificativa e individualizzante della connessa attività informativa.

Una volta proceduto all’inquadramento del nome di dominio all’interno del novero dei segni distintivi dell’impresa, si è aperta in Giurisprudenza la questione di quale tra i suddetti segni possa meglio individuare e tutelare il nome di dominio. In particolare, da più parti, venne ipotizzato che, date le affinità delle funzioni esercitate in favore del titolare, la funzione distintiva svolta dal nome di dominio potesse essere esercitata dall’insegna cosicché il sito configurerebbe il luogo virtuale dove l’imprenditore contatta il suo cliente al fine di concludere con esso il contratto.
La pur suggestiva equiparazione del nome a dominio tra i segni distintivi dell’imprenditore non tiene però conto che spesso il servizio Internet contrassegnato dal nome di dominio non è utilizzato per l’esercizio di un’attività economica e commerciale, vedasi la varietà di Top Level Domain che affiancano il suffisso “.com” e che non hanno nessuna finalità imprenditoriale. Spesso, infatti, il nome a dominio viene impiegato per mere finalità informative che esulano gli scopi commerciali.

La dottrina ritiene quindi che il nome di dominio rivesta caratteri di novità che non sono riconducibili ai segni distintivi già disciplinati dal nostro Legislatore, essendo esso in grado di sintetizzare al suo interno tutte le peculiarità dei tradizionali segni distintivi. A seconda della fattispecie esaminata potremmo quindi rinvenire nel nome di dominio caratteristiche proprie del marchio, dell’insegna, della ditta, così come quelle di un semplice indirizzo o di insegna pubblicitaria.
 
La differenza tra contenuti del servizio ed il nome internet del sito

È bene inoltre sottolineare come una cosa sia il nome di dominio e la sua titolarità e un’altra siano i servizi e/o i contenuti, rinvenibili nel sito del servizio informatico identificato dal nome di dominio stesso.
Nel caso specifico in cui il servizio informatico individuato dal nome di dominio corrisponda a un sito web e nella ulteriore accezione che in tale sito web ci siano contenuti di diverso genere, le immagini, in particolare, sono soggette a una disciplina separata, regolata dalle norme del copyright e va pertanto sottolineato che trasferire la titolarità del nome di dominio non significa trasferire il contenuto del sito web che individua e del contenuto a esso afferente.

Per quel che concerne le immagini occorre rilevare che la maggior parte delle immagini che Google presenta all’esito di una ricerca sono coperte da copyright, fatto che le rende inutilizzabili a piacimento dal titolare di un sito web, necessitando in proposito il consenso del titolare del copyright. Pertanto in caso di trasferimento della titolarità di una piattaforma web sarà assolutamente necessario precisare, nel dettaglio, quali elementi siano oggetto del contratto e a quali condizioni.
Una cosa infatti è il trasferimento del solo nome di dominio inquadrato in qualsivoglia fattispecie di marchio, insegna, ditta o segno distintivo atipico, un’altra sarebbe il trasferimento dei contenuti del sito web del quale il nome a dominio è solo la “targa”. Trasferimento quest’ultimo che porrebbe molte più problematiche in relazione al suo contenuto più ampio.
Nel complesso, mentre il trasferimento della titolarità del dominio segue regole tipiche, come si vedrà tra breve, la tutela del diritto all’uso o contro l’uso illegittimo di altri dipende dalla natura del servizio informatico, che varia da caso a caso.
 
La pubblicazione di un sito internet

Sono essenzialmente due le modalità di pubblicazione di un sito internet: quella gratuita, tramite l’utilizzo di una piattaforma altrui, oppure quella a pagamento, che si sviluppa tramite l’acquisto di un nome a dominio e l’adozione di un servizio di hosting per il web.
Tra le piattaforme gratuite annoveriamo ad esempio wordpress.com o blogger.com.
Nella maggior parte dei casi la caratteristica del servizio di hosting gratuito è la mancata titolarità del nome di dominio che caratterizza il servizio web in capo al soggetto utilizzatore, che, invece, resta in capo alla società che fornisce il servizio di hosting. La caratteristica dei siti web individuati da nomi di dominio in regime gratuito è infatti quella di essere raggiungibili ad un indirizzo che comprende, nella sua versione alfanumerica, non solo il nome del dominio ma anche dell’host (server) titolare dello stesso. Pertanto un sito web che in regime “personalizzato” sarebbe raggiungibile all’indirizzo www.sitointernet.com, in modalità gratuita sarà raggiungibile, ad esempio, all’indirizzo www.sitointernet.wordpress.com.

Volendo invece acquisire la titolarità effettiva del nome di dominio si dovrà procedere (a costi che, nelle ipotesi più semplici variano dai 20 ai 50 euro annui) alla registrazione del suo acquisto presso appositi registri che sono tenuti da appositi gestori a seconda dell’estensione del Top Level Domain. Come sopra ricordato i domini “.com” sono gestiti dalla Verisign; in Italia i domini .it sono invece gestiti dal NIC.
L’utente del dominio si rapporta in maniera non diretta con l’ente tenutario del registro, dovendo servirsi di appositi intermediari detti registrar (vedi ad esempio ARUBA).
È bene precisare che la registrazione a titolo oneroso di un dominio non è equiparabile all’acquisto del diritto di proprietà a tempo indeterminato sullo stesso, come avverrebbe per una normale compravendita di un bene. L’acquisto oneroso di un dominio procura all’utente il solo diritto di utilizzazione del dominio stesso per un periodo di tempo determinato, prevalentemente a blocchi annuali; una volta scaduto il termine di utilizzazione, laddove non venga rinnovato, il dominio sarà disponibile sul mercato, potendo essere acquistato da qualsivoglia soggetto terzo.
Resta fermo peraltro che, pendente il periodo di utilizzo, il dominio sarà di libera disponibilità dell’utente titolare, potrà essere venduto a terzi senza necessità di autorizzazioni e, a differenza di un dominio in hosting gratuito, il relativo sito potrà essere sfruttato senza limiti ai fini della concessione di spazi per banner pubblicitari dai quali ricavare lucro.
È possibile altresì cambiare il registrar (ovvero l’intermediario, la cui funzione è stata sopra spiegata) del nome di dominio. Ciò avviene tramite la richiesta di un codice di sblocco del dominio al registrar che si intende abbandonare. Tale richiesta dovrà intervenire entro la scadenza annuale del dominio che si vuole trasferire. Ciascun registrar, nella massima autonomia, offre servizi di ogni livello e prezzo, dalla semplice registrazione di un nome a dominio alla realizzazione anche di siti web, alla fornitura di connettività Internet, all'erogazione di servizi altamente specializzati. Ogni registrar stabilisce in autonomia anche i costi della registrazione dei domini e tutte le prassi e i processi per le operazioni di mantenimento degli stessi.
 
Trasferimento di nome di dominio

Si possono pertanto delineare due fattispecie traslative del nome di dominio: l’una avente ad oggetto la titolarità dello stesso, che cambierà intestatario pur rimanendo nell’alveo del medesimo fornitore di hosting; l’altra riguardante invece il trasferimento del dominio da un servizio di hosting all’altro, con la procedura sopra descritta.
Per quanto concerne le modalità attuative del trasferimento del nome di dominio da un utente all’altro si segnala che abitualmente questo avviene a mezzo di moduli da compilare forniti dalle società di hosting stesse.

Il trasferimento o la cessione giuridica di un nome di dominio, quindi, è differente dalle prassi di trasferimento o di cessione del nome dominio dal punto di vista tecnico. In molti casi la prassi operativa tecnica segue una fase di autorizzazione che discende da un contratto/accordo tra le parti di cui una è cedente o trasferente e l’altra acquirente o ospitante.
Per quanto riguarda infine la possibilità di un uso condiviso del dominio, attesa non la praticabilità di una formale intestazione a più soggetti, si può configurare sul piano dei rapporti interni tra le parti come partecipazione alle utilità e ai diritti patrimoniali che derivano dal dominio stesso.
 
La tutela

Sul piano della tutela dei diritti sul dominio, occorre distinguere se lo stesso abbia rilevanza commerciale o meno.
Nel primo caso, il dominio può corrispondere ad un marchio registrato, e si applica la normativa sui segni distintivi: la tutela del marchio, e del relativo dominio, prevale su altri domini che siano uguali o simili, se sussiste rischio di confusione nel mercato per identità o affinità del prodotto o del servizio connesso. Inoltre prevale anche in mancanza di tale identità o affinità, qualora il marchio abbia una rinomanza tale per cui l’uso fattone da altri costituisca un indebito vantaggio (art. 22 Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 cd Codice della proprietà industriale). Se il dominio non è stato registrato come marchio, può considerarsi alla stregua dell’insegna dell’imprenditore e trova tutela se l’uso altrui configura concorrenza sleale, anche se riferito a prodotti e servizi non affini o identici, in quanto sussista idoneità a creare confusione nel mercato.
Nel secondo caso, la tutela del dominio passa attraverso quella del nome. Gli artt. 6 e 7 del nostro codice civile prevedono due azioni inibitorie: l’azione di reclamo, per ottenere che tutti utilizzino un dato nome per identificare il suo legittimo titolare; e l’azione di usurpazione contro terzi che indebitamente usino il nome altrui.