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Immaginate una partita di calcio senza arbitro, guardalinee e quant’altro; solo giocatori e spettatori.
Immaginate anche che gli spettatori non siano tifosi dell’una o dell’altra squadra, ma solo amanti del gioco calcio.
Immaginate infine che i falli, rigori, e goal vengano decisi (mancando l’arbitro) dalla “maggioranza degli spettatori”.
Una partita di questo tipo si svolgerebbe molto probabilmente in modo ugualmente corretto, anche in assenza di arbitri e controllori.
Il tutto, solo grazie ad un meccanismo che potremmo definire di “democrazia diffusa”.
Bene, questo è - in estrema sintesi (e con qualche licenza espositiva) - il meccanismo di funzionamento di una blockchain: un registro pubblico e inalterabile nel quale ogni registrazione non passa attraverso il vaglio di una autorità certificatrice, ma avviene in modo automatizzato grazie all’intervento degli stessi utilizzatori del registro.

Come funziona?
 
La blockchain, come oggi la conosciamo, nasce nel 2009 insieme ai bitcoin, essendo il motore del loro funzionamento.
Ogni trasferimento di bitcoin da un soggetto (rectius da un portafoglio) a un altro, avviene all’interno di una blockchain, e la transazione viene appunto validata non da una Banca o da un Istituto di credito, ma attraverso complessi calcoli matematici e la loro convalida da parte della maggioranza dei calcolatori (nodi) connessi alla rete in quel momento.
Il tutto avviene in modo automatico e, pressoché, senza alcun intervento umano.
Il che significa poter realizzare transazioni sicure perfino tra utenti tra loro sconosciuti (o perfino anonimi).
Si comprende allora il motivo per cui l’interesse si stia oggi spostando dai bitcoin in sé, al motore (la blockchain) che ne consente il funzionamento.
Si tratta, infatti, di una tecnologia che - potendo essere potenzialmente applicata ai più disparati settori - consentirebbe la realizzazione di registri altamente affidabili; tuttavia eliminando i costi di intermediazione e di controllo e, in alcuni casi, riducendo drasticamente i tempi di esecuzione delle transazioni (si pensi, nel mondo finanziario, ai trasferimenti di fondi in ambito internazionale).
 
Ma è tutto oro quel che luccica?
 
Nella prima stesura del presente articolo, avrei voluto evidenziare i problemi (ma anche le opportunità) che in astratto una simile tecnologia porta con sé.
Ma recenti eventi mi hanno convinto che fosse più interessante iniziare ad analizzare uno dei primi casi concreti.
Si tratta di “The DAO” che rappresenta forse il primo esempio di “fondo comune di investimento” interamente computerizzato, nel quale cioè tanto le transazioni, quanto le scelte di investimento sono affidate ad un software e avvengono in modo del tutto automatizzato, senza alcun intervento umano.
Ovviamente, il tutto si basa su una blockchain.
Ebbene, questo fondo è balzato all’onore delle cronache per due volte in brevissimo tempo.
La prima volta quando fu reso noto che, in pochi giorni dalla sua “apertura al pubblico”, il fondo aveva raccolto oltre 150 milioni di dollari.
La seconda volta, assai più di recente, quando un valore di oltre 50 milioni di dollari è stato sottratto dal fondo ad opera di un hacker che ha sfruttato un errore del software con cui era stato programmato The DAO.
L’aspetto più interessante di questo secondo evento - come è stato ben evidenziato - non è tanto il problema di (in)sicurezza informatica che un simile fatto ovviamente pone, quanto soprattutto le reazioni che tale evento ha prodotto negli utilizzatori e nei creatori della piattaforma.
 
In primo luogo bisogna porsi la domanda: “who pays?”
 
A chi deve essere ascritta la responsabilità dell’accaduto?
È quindi apparso subito evidente che "la spersonalizzazione e l’anonimato che tanto avevano contribuito a rendere accattivante il progetto sono divenuti immediatamente molto poco desiderabili”.
Ma soprattutto, è emersa subito la presenza di quello che è stato definito "un nucleo forte di soggetti”.
Si tratta (forse) di soggetti dotati di maggior conoscenze tecnologiche, o forse di coloro che più hanno investito nel fondo, ma il punto è che si tratta di soggetti che - da quanto sembra di capire - sarebbero in grado di decidere (o in qualche modo orientare) le prossime mosse all’interno di “The DAO” al (dichiarato) fine di risolvere il problema.
Ma non doveva trattarsi di un fondo totalmente automatizzato e tecnologicamente democratico?
Come è possibile che esista un gruppo di soggetti che possa influenzare il funzionamento della blockchain?
Chi sono questi soggetti?
In quali mani (e sotto il controllo di chi) l’utente medio mette allora i propri soldi?
Si tratta di domande legittime che già da sole dovrebbero far riflettere… ma vi è di più.

Non solo questo gruppo esiste, ma starebbe discutendo addirittura della possibilità di azzerare tutte le transazioni avvenute dopo una certa data, riportando il sistema a un momento antecedente il furto.
Una sorta di macchina del tempo che consentirebbe di annullare tutte le operazioni eseguite dopo un certo periodo, ivi compresa quella “incriminata".
Sarebbe come se le banconote rubate da ignoti ladri in un caveau di una banca perdessero automaticamente valore legale.
Una soluzione affascinante - da un lato - perché mostrerebbe la superiorità della moneta virtuale rispetto a quella “tradizionale”, ma la cui adozione farebbe emergere almeno due dati significativi:
  • che l’irreversibilità di un’operazione non è sempre un aspetto positivo in senso assoluto e
  • che la presenza di un “arbitro” non è sempre un peso, ma (spesso) è una necessità, funzionale al buon funzionamento del sistema.
 
Ma anche ammettendo che la soluzione sia praticabile, se al posto di denaro The DAO avesse gestito transazioni immobiliari, per risolvere un problema analogo avremmo forse potuto immaginare di poter annullare tutte le vendite di immobili effettuate (ad esempio in una intera Nazione) dopo una certa data?
 
La sensazione è che forse possiamo anche pensare di disputare partite di calcio senza arbitro e lasciando i tifosi a casa a vedere la partita in TV.
Ma i tifosi vogliono vedere la partita allo stadio… e per fare ciò, ci vuole un arbitro.