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Stefano Fazzari

Vice presidente Fazzari, la professione notarile si è evoluta nel tempo e il ‘notaio digitale’ è ormai una realtà consolidata. In quali settori intravede nuove potenzialità di sviluppo per l’informatica notarile?

In questi anni abbiamo fatto passi significativi. Ma ritengo ci siano ancora ampi spazi perché l’informatica notarile nel prossimo futuro migliori l’analisi e il corretto utilizzo delle informazioni, sia all’interno del singolo studio, sia all’interno del Notariato, sia all’esterno, rendendo semplici e “usabili” operazioni tecnicamente complesse. Prendiamo ad esempio, la riforma della Volontaria giurisdizione di prossima entrata in vigore: senza in alcun modo voler sottovalutare i delicati aspetti giuridici, un ruolo decisivo lo giocherà la corretta e tempestiva trasmissione della autorizzazione e dei documenti allegati alla Cancelleria, al P.M. e alle parti come anche delle comunicazioni relative ad eventuali impugnazioni.

Ritengo perciò fondamentale che il Notariato si confronti col Ministero della Giustizia sulla base di indicazioni tecnicamente e proceduralmente corrette, e che l’informatica recepisca tali indicazioni. All’interno degli studi, penso, ad esempio, a sistemi che consentano in maniera semplice una migliore percezione dei costi e dell’andamento dello studio: si tratta di evidenziare, in maniera semplice, magari tramite indicatori intuitivi, dati che tutti noi teoricamente abbiamo, ma che, nella frenesia della quotidianità, non sempre riusciamo a percepire e valutare correttamente.

Dubito invece della efficienza dei sistemi informatici che si propongono di “automatizzare” decisioni contrattuali, ed anche giudiziali, con sistemi di Intelligenza Artificiale: temo che, così facendo, andremmo a sostituire le regole dell’algoritmo alle regole del diritto e alla preziosa valutazione dell’interprete. E lil valore del Notariato è sempre stato anche la capacità di rielaborare e adattare strumenti e contratti agli interessi delle persone: la fantasia, l’intuito, non la ripetizione di formule tralatizie, o di algoritmi.

Un forte impulso alla digitalizzazione è avvenuto con l’emergenza sanitaria. Quale ruolo assegnare alle professioni in un’economia che sta spingendo sempre di più a svolgere attività senza la presenza fisica?

L’emergenza sanitaria ci ha imposto un massiccio esperimento di interazione a distanza con l’utilizzazione di strumenti informatici. Proviamo ad analizzarne i risultati: ovviamente non possiamo trarre indicazioni valide ed univoche per tutte le attività professionali; possiamo però valutarne l’incidenza su alcuni singoli aspetti. Le udienze civili a distanza mi pare abbiano funzionato discretamente; la didattica così così, certamente meglio nell’istruzione universitaria. La formazione professionale? Luci ed ombre.

Ho l’impressione che la distanza, anche ove assistita da strumenti informatici tecnicamente ottimali, privi la comunicazione di una dimensione cognitivamente importante: laddove la comunicazione sia già in partenza tendenzialmente priva di tale dimensione (si pensi alle udienze del processo civile, spesso tecnicamente caratterizzate da una sequenza dialettica preimpostata dalla strategia processuale), o alle lezioni universitarie con oggetto predeterminato ed emozionalmente abbastanza neutre, i vantaggi del mezzo informatico probabilmente superano il prezzo da pagare. Ma dove la “tridimensionalità” della comunicazione è fondamentale (lo abbiamo visto bene nella scuola primaria, ad esempio), lo strumento informatico mi pare perda gran parte della propria efficienza.

Pensiamo alle nostre riunioni ed ai nostri aggiornamenti a distanza: le riunioni “tecniche” sono state abbastanza efficienti, laddove impostate in modo da tener conto dello strumento informatico e in presenza di interlocutori interessati e posti in grado di partecipare e interagire; assai meno, se impostate come lezioni “frontali”, o come meri mezzi di acquisizione di crediti formativi. Anche l’attività professionale non può non tener conto del fatto che la attività in presenza non è, e non può essere, identica alla attività a distanza, perché ci sono aspetti, dimensioni, che quest’ultima non è in grado di rendere.

Da tempo gli indicatori della cassa di previdenza dei notai forniscono una rappresentazione dell’universo notarile che smantella lo stereotipo del notaio, sempre e comunque professionista ricco ed affermato, e con “diversità” esistenti tra le varie aree del Paese, nonostante la funzione esercitata rimanga la stessa. Che ruolo può avere la tecnologia in questo scenario?

Come sempre, la tecnologia porta opportunità e rischi. Sta a chi la utilizza comprenderne le une e gli altri. La tecnologia può essere utilizzata per ridurre gli squilibri esistenti tra le varie aree del Paese e tra il piccolo e il grande studio; per consentire a ciascuno di valorizzare la propria formazione e la propria competenza; per scambiare in modo efficiente e veloce informazioni; per fornire strumenti di analisi. Ma non ne può essere consentita l’utilizzazione per ampliare le diseconomie, l’accentramento di lavoro in determinate zone o in determinati studi; in altre parole, l’utilizzazione strumentale a una competitività svincolata da parametri etici e deontologici, che invece caratterizzano fortemente le attività professionali, costituendone uno dei caratteri distintivi rispetto all’impresa. Un ruolo essenziale, ma ancora tutto da studiare, deve avere perciò avere la tecnologia nell’acquisizione di dati e nella elaborazione di elementi deontologicamente rilevanti.

 

Stefano Fazzari, notaio, è Vice presidente Notartel S.p.A. e Consigliere della Cassa Nazionale del Notariato.